CO2 produzione consumi

Calare la CO2 o la produzione e i consumi?

Siamo reduci dalla COP26, tra moderate speranze, delusioni diffuse e un dubbio intriso di ipocrisia che rimane nell’aria: dobbiamo calare la CO2 o la produzione e i consumi?

COP26 in sintesi

Se ne è parlato da più parti, ma forse non abbastanza; quantomeno, si è liquidato l’argomento abbastanza velocemente, per passare poi agli argomenti di tutti i giorni.

Eppure, la crisi ambientale, dopo avere messo la testa sotto la sabbia per decenni, dovrebbe essere il problema dei problemi.

CO2 produzione consumi

Una questione questa, nel merito della quale pare non si voglia mai entrare veramente. Perché tutta la giostra costruita “sopra, è il caso di dire” all’ambiente potrebbe crollare e mostrare il Re economico completamente nudo, inadeguato e fallace.

Alla COP 26 si è parlato di:

  • Limitare il riscaldamento globale ad 1,5 gradi entro il 2100
  • Ridurre le emissioni di gas serra
  • Ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al 2010
  • Portare queste emissioni a zero intorno alla metà del secolo”.

Tutto bellissimo e lodevole. Oltre a questo, si citano altresì:

  • Eliminazione del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili
  • Protezione e ripristino delle foreste
  • Protezione e salvaguardia della biodiversità

Senza dilungarci troppo, potete leggere uno dei tanti articoli dettagliati sparsi per il web, come ad esempio quello di Sky tg 24 cliccando QUI.

Andiamo oltre e proviamo ad essere eretici, proviamo cioè a “pensare

Mi si perdoni se cerco di allargare gli orizzonti ed uscire dalla semplice osservazione passiva di una vicenda che ci riguarda da vicino.

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Siamo abituati a chiederci il “come” delle cose, cioè a “ragionare” sul come fare qualcosa, utilizzando schemi mentali che già conosciamo. Il chiedersi “come” costringe però a non andare oltre, ad utilizzare qualcosa che ci hanno insegnato, ad immergerci in qualcosa, un punto di partenza che diamo per scontato essere giusto. È un po’ come cercare una risposta che è nascosta da qualche parte, e che, anche se al momento ci sfugge, già conosciamo.

Il “come“, il ragionamento, non ci aiuta a cambiare un paradigma, ma ci confina nel trovare una soluzione al suo interno.

Dato che invece vogliamo pensare, proviamo a chiederci il perché

Il “perché” entra nel campo del pensare. Il pensare esce dai confini, il pensare è eretico; ecco il motivo per cui, spesso, a colui che pensa, che va oltre, che esce dagli schemi, vengono tarpate le ali.

Eresia significa libertà di scelta. Per gli amanti del genere, cito estratto testuale dall’enciclopedia Treccani:

Il termine “eresia”, come il latino haeresis da cui direttamente proviene, riproduce il greco αἴρεσις, ed è legato alla sua storia. Nel greco classico, il vocabolo è tutt’altro che infrequente, ed ha le varie accezioni di “presa, scelta, elezione, inclinazione verso qualcuno o qualcosa, proposta“.

Historien | Folkekirken.dk
immagine da folkekirken.dk

Capito perché gli eretici venivano bruciati sul rogo? Perché pensavano, perché uscivano dai confini, dalle barriere, perché osavano andare oltre.

Qui dobbiamo essere un pochino eretici

Nell’ultimo POST pubblicato, che ti invito a leggere con calma, abbiamo anche visto il problema dell’impronta ecologica.

Overshoot Day, la data in cui il Pianeta consuma risorse ...

L’impronta ecologica è un indicatore che viene utilizzato per valutare il consumo umano delle risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle.

Non stanchiamoci di dirlo, l’overshoot day nel 2021 è stato indicato al 29 Luglio, pertanto noi utilizziamo circa 1,7 volte quello che la terra produce in un anno. Andiamo a debito. Consumiamo più di quanto prodotto, molte materie prime potrebbero non essere più disponibili e soprattutto, cosa succederà continuando a scombinare così selvaggiamente gli equilibri? Agli ecosistemi, per esempio, cosa accadrà?

La prima conseguenza: produrre così tanto significa emettere tanto. Banale? Sì, eppure si continua a non arrivare al problema.

Se consumo (e produco) 1,7 anziché 1, il problema sta nella quantità

Il mondo ha bisogno di meno cose, meglio distribuite e di qualità migliore. Produrre meno cose di migliore qualità è il primo passo che dovrebbe essere all’ordine del giorno di un convegno globale.

Fateci caso, oggi, molti oggetti – se non tutti o quasi – sono prodotti per durare il giusto ed essere sostituiti di frequente. Decade la garanzia, dopo un po’ si rompono e quando si rompono, ripararli costa di più che ricomperarli. Quante volte abbiamo pronunciato frasi simili?

Poi c’è il problema della filiera alimentare, che di per sé richiede strutture, macchinari e quant’altro per soddisfare bisogni crescenti di cibo. Questo genera inevitabilmente inquinamento, ma anche qui però, qualcosa non torna.

Nel post di qualche tempo fa, la ricercatrice Valeria Belvedere ( vedi QUI il post) ci ha mostrato come già oggi, ogni individuo del pianeta, ha a disposizione 2800 calorie. Eppure, sappiamo che:

  • Annualmente, trentasei milioni di persone muoiono di denutrizione
  • Ottocento-settanta milioni sono malnutriti
  • Due miliardi di persone hanno difficoltà di approvvigionamento idrico
  • Due miliardi e mezzo di persone vivono con soli due dollari al giorno.

Da uno studio del Centro Clinico La Mongolfiera, i paesi ricchi buttano quantità impressionanti di cibo, mentre milioni di persone fanno la fame. Vi lascio qualche numero:

  • Dal 1974 lo spreco mondiale di cibo è cresciuto del 50%;
  • Nei 27 paesi dell’Unione europea si sprecano 179 kg di cibo pro capite all’anno;
  • In Italia 12 miliardi di euro finiscono nella spazzatura, potremmo sfamarci 636000 persone
  • 250 kg di cibo vengono buttati ogni giorno dagli ipermercati
  • 20 mln di tonnellate di cibo ancora buono finiscono ogni anno tra i rifiuti
  • Vengono sprecate quasi 250000 tonnellate di carne all’anno.

L’impatto che lo spreco ha sull’ambiente:

  • lo smaltimento dei rifiuti commestibili consuma 105 milioni di metri cubi di acqua, produce 9,5 milioni di tonnellate di CO2 e impoverisce 7920 ettari di terreno.

Questi sono solo sprechi alimentari. Poi ci sono gli sprechi relativi a prodotti nuovi, mai usati e buttati, magari frutto di regali sgraditi. Tutte queste informazioni ci danno alcune indicazioni e portano spunti di riflessione:

  • È necessario produrre di meno, meglio e con attenzione alle vere necessità.
  • Monitorare e perseguire gli sprechi
  • Rimettere la vita al centro, ossia far sì che le prime necessità vengano soddisfatte e che quelle 2800 calorie siano realmente a disposizione di tutti.

Questo significa rispetto per il pianeta e rispetto per gli esseri viventi tutti.

Migliori prodotti, più salute, meno rifiuti, meno emissioni e salvaguardia delle specie e della biodiversità.

È un concetto impopolare? Si, certo che lo è, perché non è amico di quella cosa sfuggita di mano che chiamiamo un po’ a sproposito economia. A proposito, sempre se volete, QUI c’è una ulteriore versione eretica dell’argomento.

Cosa significa rientrare nei limiti sostenibili?

CO2, produzione, consumi, facciamo un giochino stupido. Se volessimo tornare a consumare non più di quello che la terra produce in un anno, oggi dovremmo produrre e di conseguenza consumare un 41 % circa in meno di tutto quello che si produce. Altro che crescita, mi verrebbe da dire.

Bel casino eh?

CO2 produzione consumi
immagine da rete-news.it

Provate a pensare: meno 41 % di vestiti nell’armadio, di scarpe nella scarpiera, di apparecchi cellulari, di televisori, di coperte, di mobili, di stoviglie. Meno 41% di veicoli prodotti, di voli aerei, di tratte navali etc. etc. A naso, l’inquinamento sarebbe più contenuto.

Invece di avere 10 camicie a disposizione, dovremmo fare con 6. Sarebbe possibile vivere con il 41 % di cose in meno? Ognuno si dia una risposta.

CO2, produzione e consumi. Quale è allora il problema che non si vuole affrontare?

Il problema, quello che non si vuole affrontare, il paradigma che non si vuole cambiare, è quello legato al lavoro.

Dicevamo che il pianeta se ne frega delle nostre abitudini e delle nostre ottusità, al pianeta non gliene frega nulla delle emissioni e dell’inquinamento. Il pianeta ha 4,7 miliardi di anni circa, ha affrontato estinzioni di massa e catastrofi di vario tipo.

Ad un certo punto, il pianeta, con movimenti tellurici, inondazioni, perché no, virus, malattie e quant’altro, farà un’altra volta piazza pulita e spurgherà ciò che lo disturba. Potrebbe impiegare qualche milione di anni per ristabilire i suoi equilibri, ma per lui non è un problema. Cosa sono quattro, cinque, dieci milioni di anni per il pianeta? Nulla.

CO2 produzione consumi

Il problema è solo ed esclusivamente della specie umana e della sua sopravvivenza. Il problema è dato da un sistema che ha deciso che la vita si debba basare solo sulla produzione, e che la dignità della vita dipenda da questa. Purtroppo, altre specie viventi, di riflesso, patiscono e patiranno sempre più le conseguenze di questo “umano” modo di pensare .

Siamo una delle circa otto milioni di specie viventi che si ipotizzano essere presenti sul pianeta terra, eppure ci arroghiamo il diritto di decidere il bello ed il cattivo tempo per tutti, nel nome della produzione di oggetti.

Pubblicizziamo consumi, consumi e ancora consumi, poi facciamo conferenze per il clima dicendo che la società dei consumi è dannosa.

CO2 produzione consumi

Un po’ come per il fumo, che “nuoce gravemente alla salute”, però perdere il vizio danneggerebbe le vendite e calerebbe i malati cronici, che fanno comunque fatturato.

Allora, dovremmo parlare di “Lavoro o di Essenza”?

Questo è il punto che dovremmo affrontare, andando alla “causa” del problema. Lavoro o Essenza? E dovremmo farlo di pari passo alla gestione dell’effetto, cioè alla gestione dell’abbattimento delle emissioni e quant’altro.

Due possibilità:

Continuare a produrre e lavorare come abbiamo fatto finora, oppure stabilire un qualcosa che siano azioni essenziali per vivere?

Le due cose sono diametralmente opposte e nemmeno lontane parenti. La situazione attuale è figlia della prima ipotesi e sarebbe bene rifletterci.

La seconda ipotesi, invece, sposta il focus su altro che può aiutarci a ridurre del 41 % le nostre esigenze, spesso superflue, garantendo un reddito alle persone ed una vita dignitosa slegata dalle logiche della produzione. Questo porterebbe a concentrare le energie e le attività necessarie principalmente su quelli che stabiliremo essere i bisogni primari.

È un cambio drastico di pensiero, è un reimpossessarsi della vita e della libertà, è un ritorno ad una simbiosi con l’ambiente che ci ospita.

Non possiamo più permetterci di fare quello che abbiamo fatto fino ad oggi.

Ora siamo ad un bivio:

  • Ce ne freghiamo, come in molti pensano, perché tanto quando la temperatura metterà in vera difficoltà la nostra specie, noi non ci saremo più (come se conoscessimo realmente il perché siamo qui e cosa viene dopo, ma tant’è…)
  • Oppure proviamo a pensare, uscendo dagli schemi e diventando eretici, capendo che il nostro modo di agire non è sostenibile e oltremodo irresponsabile.

Se continueremo a girare intorno al problema, basando la vita solo su fatturati da incrementare, obiettivi da raggiungere e premi ai volumi prodotti, non affronteremo mai il nocciolo della questione e credo che gli effetti saranno – ahimè per i più giovani soprattutto e per chi verrà – devastanti.

Calare la CO2 o la produzione e i consumi?” è un titolo volutamente provocatorio.

Come però diceva Einstein, ““Non possiamo risolvere i problemi utilizzando lo stesso modo di pensare di chi li ha creati“.

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Ecco, girare intorno al problema e sperare che chi ha sposato un certo modo di pensare, contribuendo a creare il problema, sia poi in grado di porvi rimedio pensando sempre nello stesso modo, mi pare poco praticabile e credibile.