Quando si parla di cinema vuoti e negozi che chiudono, cerchiamo sempre di trovare colpe a destra e a manca, che ci facciano sfuggire dalle nostre responsabilità. E soprattutto, dall’inesorabile mutamento di ogni cosa che ci circonda, marchio di fabbrica della nostra esistenza.
Miseri incassi e spiegazioni superficiali
Leggevo da più parti un lamento diffuso dato dai numeri impietosi degli incassi al botteghino di molti cinema e teatri, fenomeno etichettato un po’ sbrigativamente come perdita culturale, per l’esattezza, “astensionismo culturale“.
Chiaramente, dal punto di vista umano – per chi vi ha dedicato una vita intera – e romantico (come nel mio caso, che amo il cinema e la lettura), la cosa dispiace ed ha contorni, in molti casi, anche drammatici.
Ma è la conseguenza di una società che ha preso una strada ben precisa, tecnologica, e la tecnologia, come ogni cosa della vita, ha molte facce, molte maschere.
Stupirsi, come vittime di qualcosa di inspiegabile, non porta da nessuna parte.
Abbiamo voluto la bicicletta? Ora pedalare
Ogni giorno utilizziamo la tecnologia intensamente; sono molti coloro che fanno la fila per accaparrarsi uno smartphone all’ultimo grido (ora tutti diranno, come da copione, io no). Ci si lamenta se una funzione dello stesso non è perfetta, si va in crisi se WhatsApp o Telegram sono fuori servizio per un’ora. Perdiamo le staffe se internet salta improvvisamente o se la tv non funziona in alta definizione. I più abbienti ed evoluti, non possono fare a meno della domotica.

Per rincarare la dose, le aziende ne hanno un bisogno enorme per gestire e pubblicizzare. Tante persone, poi, basano la vita sui like ricevuti, sui follower e via andare.
Il carrozzone tecnologico ci mette a disposizione tutto comodamente, on demand, e tra un po’ lo farà ancora di più nel Metaverso, probabilmente sconvolgendo quanto appena descritto.
Il paradosso: volere la tecnologia e lamentarsi delle conseguenze
Volere “la botte piena e la moglie ubriaca” è da sempre una prerogativa dell’uomo. Vogliamo a tutti i costi questa tecnologia, perché è seduttiva, comoda, perché non possiamo più farne a meno. La vogliamo impeccabile, sorprendente, perfetta.
Facciamo studiare i figli nel merito, vogliamo le video conferenze, le mappe per andare comodamente ovunque e la banca a portata di click; poi, ci scandalizziamo se il cinema o le librerie fisiche chiudono i battenti, se l’edicola vede crollare gli incassi o se Amazon piglia tutto e le saracinesche dei negozi si abbassano (ora altri diranno, “io non ho mai comperato su Amazon”).

Oggi, giorno dopo giorno, creiamo, ognuno in piccolissima parte, questa realtà.
Ognuno di noi ha contribuito a creare questo mondo, e aprendo la finestra sul cortile non possiamo poi ricorrere, con finto stupore, al famoso adagio “toh, ma tu guarda, all’improvviso è comparsa una grossa quercia nel giardino”.
Evidentemente, all’improvviso non cresce nulla, quel grosso albero è stato seminato, alimentato e, per comodità/interesse, si è fatto finta di non vederlo.
Cinema vuoti e negozi che chiudono: uno spunto dalla psicobiologia del benessere
Come spesso accade, mi si consenta di attingere qualche concetto dagli studi psicosociali.
Se la nostra esistenza non tiene il passo con il cambiamento dell’ambiente nella quale è immersa, tentando con ogni mezzo di adattarsi ad esso e – per quel poco che ci è concesso – modificarlo, diventa una vittima dell’ambiente stesso.
L’ambiente procede seguendo le sue leggi entropiche, che non tengono conto delle esigenze tipicamente umane, men che meno di quelle cosiddette economiche.
La nostra biologia ci porta ad evitare ogni cambiamento significativo, perché cambiare implica fatica, una certa sofferenza e dispendio di energie. E la vita, quindi, essendo un continuo dispendio di energie, è strutturata sul risparmio di esse.

Ecco perché “cambiare”, ci spaventa moltissimo, perché costa sacrifici di varia natura e ci allontana dalle nostre zone di comfort.
Lasciare le cose come stanno, auspicare che non cambino mai, rifugiarsi nella stasi e mettersi di traverso al cambiamento, può essere fonte di problemi.
Il cambiamento avviene ugualmente, e coloro che lo rifiutano dovranno subire gli effetti più evidenti, in quanto impreparati a viverlo. Quando si sceglie consapevolmente di uscire da certe dinamiche sociali, il discorso può essere diverso, ma se si vuole rimanere nel contesto sociale opponendosi al cambiamento, la faccenda si complica. E non di poco.
Le cose si muovono costantemente…
Quindi, non è tanto questione di astensionismo culturale (che può essere uno dei fattori), ma è il fatto che si sono imboccate nuove strade, intraprese nuove abitudini, immergendosi in una realtà in movimento che, come sempre, richiede e richiederà nuovi adattamenti.
È proprio il caso di dire che, ignorare, non voler vedere o etichettare a posteriori il fenomeno, è un po’ come presentarsi con una gamba rotta all’ospedale dicendo di essere caduti nel giardino dalla famosa quercia che un istante prima dell’incidente non c’era.
Chiudo con una storiella di qualche tempo fa.
Un piccolo ricordo dell’infanzia
Negli anni ’70 ero piccolo, ma nei discorsi degli adulti rammento nitidamente come, uno dei lavori che si pensava mai avrebbe conosciuto crisi, era l’edicolante, o giornalaio che dir si voglia.
Si osannavano anche altre attività, ritenendole imperturbabili a qualsiasi intemperia economica. Ricordo, per dirne un paio, il tabaccaio o la bottega alimentare.
A quel tempo sembravano insostituibili. In realtà, abbiamo visto come si siano modificati i costumi, i gusti, la domanda e le abitudini d’acquisto, nonché le strutture.
Chi si è adattato ha proseguito, molti altri non sono riusciti.
Una piccola parentesi su Amazon
Il colosso americano nasce intorno al 1994. Vende inizialmente libri. Oggi parliamo di crisi del libro e delle librerie e ricordo che, già allora, anche se con meno enfasi, se ne parlava. Bene, il buon Jeff Bezos cominciò con l’obiettivo di consegnare libri a destra e a manca. Base di appoggio? Il suo garage.
Erano un manipolo di persone che impacchettavano libri e li spedivano.

Poi sentì parlare di e-commerce, e colse al volo l’opportunità. Si guardò in giro e scelse i prodotti che, secondo lui, erano maggiormente compatibili con il commercio elettronico: libri per l’appunto, e poi CD, software, hardware e videocassette.
Era un garage che spediva libri…per l’appunto, era.
Cinema vuoti negozi che chiudono