Con grande amarezza ed un senso sempre crescente di impotenza proverò a mettere nero su bianco una piccola riflessione. La voglia di scrivere diventa blanda quando si assiste a raduni che dovrebbero portare consapevolezza e cose buone e poi si ridimensionano velocemente in balìa degli eventi. Si diceva, la COP26, e poi?
COP 26 e poi… un retrogusto d’ipocrisia
C’è stato questo raduno nel quale sembrava si volesse affrontare una volta per tutte l’emergenza climatica.
Si è detto che non c’è più tempo da perdere, perché il nostro modo di vivere ci sta portando a collassare come specie. Geologi e scienziati lanciano l’allarme ormai da decenni, si sperava fosse la volta buona. Leggi QUI qualcosa nel merito.
Si erano riposte speranze su questo raduno, anche se poi in molti e da più parti, hanno denunciato ancora una volta troppa poca incisività nelle azioni intraprese.
Oggi alcuni segnali dovrebbero tra l’altro farci riflettere: intanto a quella riunione si è stabilita la riduzione del 30% delle emissioni di metano, senza però la complicità di Cina, India e Russia. Bene, ma non benissimo.
Oltre a questo, come qui già sottolineato, un mondo che produce in un anno più di quanto la terra possa a sua volta produrre e inquina a causa di questa produzione smisurata, dovrebbe cercare almeno di mascherare l’ipocrisia. Trascorse poche settimane dalla COP26 (leggi QUI le decisioni prese), è partito in pompa magna il teatrino del Black Friday.
Ora, è vero che ciò che è stato venduto in quel periodo era già stato prodotto, ma di certo non si dimostra di aver capito il problema se si assiste alla sagra dei consumi senza quanto meno portarla come esempio non propriamente positivo della deriva economica che ha provocato il danno globale.
Quindi, qualche avvisaglia c’era e non è stato trasmesso un grande messaggio.
COP26 e poi…la guerra
Senza essere a nostra volta ipocriti, sostenere che l’uomo possa vivere in assenza del male è un inutile tentativo di nascondere la realtà biologica – a volte crudele – della nostra esistenza. In un mondo come il nostro, distinguiamo una situazione, un gusto, un piacere, in virtù del suo opposto. Il bene è bellissimo, è stupendo, ma è distinguibile per la presenza sgradita del suo opposto.
Possiamo fare tutta la filosofia che vogliamo, possiamo rabbrividire al concetto, ma basta semplicemente guardarsi intorno e verificare la storia dell’uomo. In virtù di questa premessa, è solo conoscendolo il male, limitandolo e cercando per quanto possibile di capirlo, che possiamo trovare spunti per andare avanti.

Nel nostro caso specifico, a seguito di un incontro come la COP26 in cui ci si è confrontati e si sono concordate azioni da intraprendere contro la crisi climatica, possiamo evidenziare alcuni aspetti contraddittori:
- Come detto, alcuni attori importanti non hanno sottoscritto la riduzione delle emissioni di metano. Uno di questi, poco tempo dopo, ahimè si è impegnato addirittura in una guerra e sappiamo quale disastro ambientale ed umano la guerra si porti appresso.
- Discutere e cercare soluzioni ad un problema tremendamente serio, l’inquinamento, partendo dal presupposto che il paradigma sul quale ci si basa, quello economico, sia corretto e l’unico possibile, è come dare la colpa ai buchi presenti su una barca che affonda anziché focalizzarsi su chi li ha fatti quei buchi, e perché.
- In conseguenza del punto 2, non è stato affrontato, nemmeno marginalmente, un altro aspetto; contemporaneamente alla riduzione delle emissioni, non si è ragionato in profondità sull’eccessiva distruzione dell’habitat per meri scopi egoistici ed economici. Per fare un esempio: sappiamo come ogni anno consumiamo circa 1,7 volte in più – dato in aumento – di quello che la terra produce. Come dire che, se la terra può produrre materie per fare quattro maglioni, noi ne produciamo sette. Come facciamo? Andando a debito, distruggendo habitat, spolpando risorse e via di seguito. Ora, per venire al concetto: andava detto con forza che si produce troppo, che non si possono produrre più di quattro maglioni. Invece, il focus è rimasto incentrato sulla necessità di inquinare di meno.
COP 26 e poi…la testa sotto la sabbia
Sempre per non finire nelle melma delle ipocrisie dilaganti, oggi facciamo i conti con una delle tante guerre che insidiano questo pianeta. Come sempre, pur essendocene diverse molto cruente da più parti, ci concentriamo su questa, più vicina, più pericolosa per la portata degli armamenti.
Soprattutto più pericolosa per la minaccia all’intelaiatura del sistema economico che si è sempre fatto finta di non capire quanto fosse pericoloso. Pericoloso per l’ambiente, anche se si è sviato il focus sulle origini dell’inquinamento, e pericoloso per le persone, perché è alla base delle guerre di potere. E da lì, sempre per i motivi sopra riportati del non voler affrontare il nocciolo della questione, in una folle corsa verso una non ben identificata meta, si è parlato nuovamente di nucleare, di carbone etc etc.
Il male non puoi ignorarlo
Gli esempi portati sono la rappresentazione della parte più “maligna” che si annida nei comportamenti umani. Prima che qualcuno si alzi con la soluzione in tasca, la facile ricetta o una filosofia da bar pronta all’uso, dobbiamo metterci nella testa che il male va arginato sì, ma capito. Dobbiamo – o dovremmo – trarre un insegnamento da questi eventi. Come già detto nel post dedicato, ignorare il male o semplicemente punirlo ci rende complici delle conseguenze.
Dobbiamo capire il perché soprattutto non si voglia considerare l’idea che una società possa essere basata non solo ed esclusivamente sulla produzione. Perché si ignora la radice del problema?

Perché un cambiamento richiede grande sforzo, richiede di mettere in discussione il “si è sempre fatto così”, perché il cambiamento potrebbe invalidare molta didattica di sistema. E soprattutto, perché il cambiamento potrebbe ridimensionare la nostra autostima obbligandoci ad affrontare una sorta di sconfitta personale. Un cambiamento richiede molto spesso sofferenza.
Dare valore ad altri aspetti del nostro vivere sociale
È indispensabile attribuire valore alle persone, alla vita in quanto tale, perché le persone sono veicolo di informazioni. E ripensare, sulla base delle possibilità che il pianeta ci offre, cosa si intenda oggi con la parola lavoro. Quale lavoro è essenziale e quale lavoro può essere possibile al di fuori di ciò che è necessario per soddisfare i bisogni primari?

Ha valore economico l’arte, qualunque essa sia e non solo quella di comprovato successo? E la libertà di pensiero? Ha valore l’assistenza spontanea alle persone, la compagnia concessa a qualcuno che senta il bisogno di parlare? Possiamo considerare ricchezza l’atto di leggere un libro? Si riveda il pensiero del fumettista Bill Watterson QUI.
Esempi banali, ma il senso è: possiamo provare a modificare un poco i pilastri su cui poggiano tutte le nostre credenze e le nostre ambizioni?
L’importanza e la responsabilità dell’istruzione
Che l’essere umano sia mediamente competitivo, curioso ed ambizioso è innegabile. Così come è innegabile che l’uomo sia anche aggressivo – portato a ricorrere al male principalmente, pur non solo, per difendersi – e per rispondere comunque all’istinto di sopravvivenza.
Detto ciò e fatte queste premesse, se indirizziamo le persone fin da piccole in una direzione prettamente produttiva, estremamente competitiva e inevitabilmente anche crudele, non possiamo poi cadere dalle nuvole quando le cose prendono una brutta piega.

Non siamo del tutto immuni da responsabilità quando ci troviamo a vivere momenti storici come questi. Lo studio del Politecnico di Bari ha evidenziato il connubio inquinamento Covid19, passato un po’ in sordina, perché mina le basi economiche sulle quali poggia la nostra società. Abbiamo assistito – e assistiamo – a competizioni economiche sempre più massicce, che se ne sono spesso infischiate del danno fatto all’ambiente. E in queste competizioni siamo coinvolti in molti. La competizione è nella natura dell’uomo e può portare ad un crescendo di lotta per il potere, fino alla deriva delle guerre.
Parte però tutto dal valore che diamo alle componenti della vita. Alcune, come quelle citate prima (filosofia, arte, attenzione al prossimo, dialogo), sono considerate troppo spesso marginali, quasi tempo perso, e il cosiddetto “progresso” non le contempla come particolarmente utili.
COP 26, e poi…siamo luci e ombre
Per concludere, non possiamo eliminare i nostri istinti animali volti a competere ed a primeggiare. Questo non è possibile, è solo un ideale buonista che non fa parte del nostro essere e della nostra evoluzione della specie. Se pensiamo che sia possibile avere un mondo etico e perfetto , rimarremo certamente delusi.
Possiamo però cominciare a dare vero valore ad aspetti della nostra esistenza che hanno a che fare con le nostre caratteristiche benevoli. Se continueremo a considerare deboli e marginali questi aspetti, o questioni di minore importanza solo perché poco produttive, pagheremo sempre di più le conseguenze di queste radicate credenze.
L’esaltazione del verbo “avere” si sposa bene con il potere e nei casi estremi si tramuta purtroppo nelle guerre.
Domanda: Quale ricchezza è questa? Siamo sicuri che non ci siano alternative a questo modello di vita? Siamo sicuri di non poter fare qualcosa di meglio? Cosa abbiamo imparato dal male di cui la storia ci parla?
Forse dovremmo partire anche da queste riflessioni, per far si che poi, manifestazioni come la COP26, possano essere realmente più incisive.
Cop 26, epoi Cop 26, epoi Cop 26, epoi Cop 26, epoi Cop 26, epoi Cop 26, epoi