Il clima è impazzito o siamo noi

Il clima è impazzito o siamo noi…?

Alluvioni, frane, grandinate, ghiacci sciolti e mari che si innalzano; e ancora danni incalcolabili, trombe d’aria, morti, feriti e dispersi; la domanda sovviene spontanea:

Il clima è impazzito o siamo noi ad esserlo?

La riflessione viene da molto lontano

Prima di avventurarci a ritroso in una delle tortuose strade che hanno portato l’umanità a maltrattare la casa che li ospita, ricordiamo che domani, 29/07/2021, è l’Overshoot day di quest’anno.

Come tutti sanno, l’Overshoot day è il giorno dell’anno in cui si ultimano le risorse prodotte dal pianeta nell’anno stesso.

Per vedere come viene calcolata questa data, puoi cliccare QUI.

Perché sfruttiamo il pianeta in questo modo?

La risposta più logica sarebbe quella dettata dalle necessità, ossia dal soddisfacimento dei bisogni primari: ripararsi, proteggersi, nutrirsi etc.

Purtroppo, non è così, perché non ci limitiamo a soddisfare solo i bisogni primari. O almeno, per molti non è così; una parte di mondo vive nello spreco e nelle esagerazioni, mentre molte persone non hanno nemmeno l’acqua potabile, altre muoiono di fame e tante sono in condizione di estrema povertà.

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E nel frattempo, nel nome dell’economia, l’inquinamento galoppa solo e soprattutto per produrre e soddisfare i vizi delle nazioni più industrializzate.

Ecco il perché della domanda “il clima è impazzito o siamo noi?” E il pianeta, come sta? Lo vediamo da soli, dalle sue reazioni violente.

A proposito, quale è il significato originale della parola economia?

Ci guardiamo intorno e tutto quello che vediamo viene dalla terra, dall’acqua, dal fuoco e dall’aria.

Il clima è impazzito o siamo noi

Ogni cosa, ogni oggetto, ogni apparecchio, ogni auto, tutto quanto, vengono dall’estrazione, modificazione e lavorazione delle famose materie prime e dei suoi derivati.

Se questo processo avviene in maniera smisurata, senza equilibrio, rispetto e prudenza, l’ambiente deturpato e maltrattato reagisce e tutti gli esseri ne subiscono le conseguenze.

Dicevamo, economia, bella parola, ma…

Tutto avviene nel nome dell’economia. Anche le malattie, le pandemie, devono adattarsi e sottostare a questa parola.

Ah, premessa: qui ci chiediamo se il clima è impazzito o siamo noi ad esserlo. Non è intento di questo spazio addentrarsi nei meccanismi economici, non mi compete e non mi interessano. Un qualsiasi economista ci potrebbe spiegare tutti i tecnicismi possibili e avrebbe ragione su tutto. Non è quello il punto, non è il funzionamento che ci interessa, non siamo qui a parlare di sotterfugi, di complottismi, di denaro creato dal nulla o altro; qui parliamo delle conseguenze e le conseguenze dei nostri giochi economici sono i problemi climatici.

Etimologicamente, Oikos e nomos, ci sono state spiegate pressappoco così:

Oikos-casa/territorio e nòmos-legge, una sorta di governo della casa.

In realtà, per via di quell’accento maldestro sulla prima O della parola nòmos, siamo qui probabilmente a fare i conti con conseguenze di vario tipo, tra le quali un disastro ambientale senza precedenti.

Nomòs, con l’accento sulla seconda O, trasforma radicalmente il significato in:

Oikos-casa/territorio e Nomòs-pascolo.

Il clima è impazzito o siamo noi

Il pascolo è inteso anche come luogo in cui si muovono le greggi. Pertanto, quando il raccolto era scarso, fare economia era molto importante e contemplava l’accumulo di “pecus”, pecore e da qui il termine pecunia.

Quindi, fare “economia” significava avere una quantità di pecore proporzionata alla tipologia e alla qualità del territorio ospitante; questo era preservato, non sfruttato e non poteva ospitare più pecore del dovuto.

Troppe pecore avrebbero rovinato il territorio, il gregge non sarebbe stato in grado di essere sfamato e il capitale sarebbe andato in rovina. C’era una proporzione, un equilibrio naturale e la parola economia era pertanto estremamente nobile.

Per comprendere la relazione tra capi di bestiame, capitale e foraggio basta riavvolgere il nastro e andare alla radice latina:

Caput = capo umano o di bestia, al plurale Capita = capitale o testa.

Capitum, inteso come dose o razione, significa anche foraggio e il suo plurale è sempre Capita.

Ecco spiegato anche il sacrificio dei capi di bestiame e quindi del capitale in eccesso, alle divinità del luogo: un rito sicuramente opinabile, anche macabro, ma necessario a quel tempo per mantenere l’economia nella zona ed evitare un accumulo che sarebbe stato controproducente per tutta la comunità.

Il clima è impazzito o siamo noi ad esserlo?

Ritornare all’origine della parola economia è stato necessario per comprendere come quella parola era portatrice di equilibrio e rispetto dell’ambiente.

La civiltà pastorizia si trasformò poi in contadina, subentrò l’accumulo del foraggio e – di conseguenza – del bestiame, e quell’equilibrio – anche rituale – andò scemando.

Produrre, possedere e accumulare, sono diventati via via e sempre di più elementi distintivi, nobili e priorità assolute di una società che ha stabilito che le cose prodotte ed i servizi offerti avessero un valore che andava oltre ogni etica.

Ma la produzione che sfrutta il territorio senza misura, senza equilibrio, con poche regole, con il solo scopo di accumulare ricchezza materiale, ha dato vita a tutte le conseguenze che sappiamo: inquinamento, aumento delle emissioni di CO2, cambiamenti climatici, malattie etc etc.

E l’individuo? Che valore ha in tutto questo?

Se è vero che la parola “economia” prevedeva in origine l’utilizzo misurato del territorio, nel mondo attuale le risorse necessarie annuali finiscono tendenzialmente a metà dell’anno in questione, e l’unica via percorribile è il cambiamento del paradigma sul quale è basata oggigiorno la società.

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Il valore dell’individuo, delle sue idee, del suo respiro e della vita, devono essere al centro del sistema e non in relazione agli oggetti da esso prodotti. Il rispetto del territorio deve ritornare ad essere preponderante e con lui gli esseri viventi, tutti.

Incentrare una società come quella umana solo ed esclusivamente sul lavoro significa portare allo sfruttamento incontrollato del territorio e delle persone, con tutte le conseguenze che conosciamo.

Che cos’è il lavoro?

Partendo da questa parola, della quale pochi sanno il significato, siamo arrivati alla nostra situazione attuale.

La parola lavoro viene dal latino labor = fatica, che era il lavoro dello schiavo e può corrispondere all’inglese Job e al tedesco Arbeit.

Ricordate quella bella scritta ingannevole “Arbeit macht freiIl lavoro rende liberi” riportata nei campi di concentramento?

Ecco, quello è il senso inconscio che ci portiamo dietro, un’evoluzione della celebre concetto racchiuso nella frase “il lavoro che nobilita l’uomo“.

Il clima è impazzito o siamo noi

Per ampliare questo concetto, vediamo per esempio la parola “lavoro” nell’eccezione spagnola:

Lavoro = trabajo dal latino tripalium che sta ad indicare uno strumento di tortura formato da tre pali a cui il prigioniero era legato. Tripaliare era inteso come torturare o soffrire.

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Tripalium

E allora, quale lavoro è veramente nobile?

Ci sono termini che potrebbero rinobilitare il concetto, che però non sono presenti nel nostro vocabolario attivo.

Work inglese o Werk tedesco, che a differenza di Job o Arbeit contemplano il lavoro fatto con piacere, come può essere quello dell’artista, per dirne uno, di un artigiano o di un professionista spinto da una grande vocazione.

Cambiare il paradigma, tutto il resto è un inganno

Al termine di questo gioco con le parole, partito dalla domanda “il clima è impazzito o siamo noi?“, è necessario uscire da questo incantesimo che rosica in maniera subdola le nostre vite.

Oggi le società sono basate sull‘emozione della paura e dobbiamo necessariamente rifondarle sull’amore.

La vita deve tornare al centro, l’individuo deve avere un valore incondizionato non legato alle cose prodotte, all’avere, al travaglio, alla tortura, ma al semplice fatto di esistere.

Questo può portare ad una riduzione drastica dello sfruttamento dell’ambiente, dei lavori superflui, squalificanti, frustranti, della paura del non farcela con tutte le conseguenze del caso legate alla povertà.

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Riportare la vita al centro

Ridurre lo sfruttamento lavorativo delle persone e di conseguenza dell’ambiente, nel nome del fuorviante significato attuale attribuito alla parola “economia“, è l’unica strada per ritornare ad un equilibrio che possa consentire alla specie umana di sopravvivere su questo pianeta.

Ecco il perché della domanda iniziale “il clima è impazzito o siamo noi…?“, che sovviene ogniqualvolta un evento atmosferico ci costringe a guardarci dentro e fare i conti con le nostre ottuse irresponsabilità.

Non si dimentichi un particolare: le stime prevedono che, di questo passo, nel 2050 avremo bisogno di almeno due pianeti terra per soddisfare i nostri crescenti e spesso inutili bisogni.

È possibile andare avanti così?

Vorrei concludere con una frase celebre di Erich Fromm :

“L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi”.