In questi giorni il clima, i rapporti sul clima e le previsioni future ci prospettano un quadro terribile: il pianeta soffre, ed è venuto il momento di dire stop alla propaganda economica nel nome del lavoro e della crescita come li abbiamo finora conosciuti.
Basta propaganda, per favore
La civiltà industriale ha portato il pianeta al limite della sopportazione di una specie, quella umana, che è l’unica probabilmente a non capire l’importanza assoluta del rispetto della vita e del luogo in cui questa si manifesta.
Consumiamo quasi il doppio di quello che il pianeta produce ogni anno, inquiniamo senza ritegno, distruggiamo l’habitat applicando incendi, inquinando i mari, la terra e ancora parliamo di crescita come valore aggiunto?

Nel post “Siamo alla frutta” viene raccontato il grande inganno linguistico che è una delle cause del caos climatico che sta rovinando un pianeta meraviglioso.
Il quadro devastante
La ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr Susanna Corti è una delle tante voci autorevoli che in questi giorni ci ha mostrato il quadro devastante che ci aspetta. Qui l’articolo del Fatto Quotidiano.

Scioglimento dei ghiacci, innalzamento dei mari, surriscaldamento e fenomeni violenti ci dicono che non c’è più tempo da perdere.
Dobbiamo crescere, sì, ma nel rispetto
Crescere rallentando, rispettando l’ambiente. La corsa alla produzione sregolata è una modalità suicida. Il pianeta soffre, stop alla propaganda economica
Enfatizzare ancora la crescita della produzione, in un mondo che deturpa qualsiasi cosa nel nome del fuorviato significato della parola economia, non è accettabile.
Deve essere consentito solo ciò che non arreca danno e bisogna diventare severi in tal senso, perché qui ci lasciamo le penne, tutti.



È così divertente per i fautori della crescita a tutti i costi vedere i mari che si mangiano le coste, i fiumi che straripano, grandini che massacrano raccolti, case e cittadini terrorizzati? È così difficile capire che non è più sostenibile tutto questo?
Potremmo invece pensare di mettere la vita, il “Bio”, l’essere vivente al centro e non solo la produzione delle cose? Potremmo convenire che un respiro sia più importante ed abbia più valore di un qualsiasi oggetto?
Altro che PIL, qui ci vorrebbe un AIL
Nel post sull’agricoltura biologica del Buthan, abbiamo visto come quel paese monitori un “Indice della Felicità“, e non il PIL.
Il Prodotto Interno Lordo dovrebbe essere rivisitato, ridimensionato nell’importanza e forse dovremo dare maggiore valore ad altro e istituire invece qualcosa come un Ambiente Interno Lordo.
Ambiente Interno Lordo – Una provocazione? Forse…
Monitorare e premiare la qualità dell’aria, delle acque, dei terreni, delle colture biologiche, dei cibi, della qualità della vita, della libertà delle persone.

Emarginare e sanzionare chi inquina, chi utilizza prodotti che rendono il cibo poco salutare, gli allevamenti intensivi, chi deturpa il territorio, chi scarica porcherie nei fiumi e nei mari, chi “sporca” in generale.

Un sistema impazzito e fallimentare
Consumiamo quasi il doppio di quanto può produrre la Terra ogni anno (Overshoot day, follia) e produciamo poco meno di un miliardo di poveri assoluti; qualcuno dice che, rispetto a due secoli fa, le percentuali dei poveri sono decisamente migliorate. Innegabile, ma perché qualcuno, per qualsiasi motivo esso sia, deve patire la fame?
Producendo, aumentiamo la C02, surriscaldiamo il pianeta e ci confiniamo all’interno di uffici e capannoni per 330 giorni all’anno.
Quando usciamo, per “l’ora d’aria” meritata che chiameremo tempo libero (che esiste solo quando non si è liberi) o ferie, troviamo quaranta gradi all’ombra e oggi, anche confortevoli mascherine protettive. È progresso questo?
Il pianeta soffre, stop alla propaganda economica
Ora ci vogliono idee e il coraggio di dire basta a chi incita alla crescita come l’abbiamo finora conosciuta.
Chi parla – oggi a sproposito – di crescita lo deve fare sì, ma nel rispetto della casa di tutte le specie viventi, animali e vegetali.
Una cosa è certa: un mondo di quasi otto miliardi di persone, che consuma ogni anno quasi il doppio di quello che produce, non lo si può basare esclusivamente sul lavoro.

Questo paradigma va cambiato e non lo dice un essere umano, lo richiedono tutti gli elementi che ci consentono oggi di essere qui.