La bancarotta della Natura

Crisi climatica e Antropocene, i problemi e le soluzioni di Luca Mercalli al TedxTorino

Il relatore

L’accademico Luca Mercalli, meteorologo, climatologo e divulgatore scientifico, nel video del 2017 riportato al termine di questo post, ci parla della cosiddetta “bancarotta della natura“, ossia dello sfruttamento smisurato della natura per fini produttivi.

La bancarotta della natura

Quello che la natura produceva fino ai primi anni settanta era il fabbisogno della popolazione mondiale del tempo, quantificata in circa 3,5 miliardi di individui.

Oggi siamo 7,8 miliardi e necessitiamo di un pianeta e mezzo per soddisfare i nostri bisogni più o meno necessari. A questi si aggiungano le spropositate quantità di inquinanti in circolazione e le abitudini comportamentali non sempre propriamente ecologiche.

Il contenuto

Vediamo di riportare per sommi capi il contenuto del video

“Un ricercatore che si occupa di clima vi avverte che c’è qualcosa che non funziona. Abbiamo un problema con l’impianto di riscaldamento e di condizionamento, e il problema rischia di trasformarsi in qualcosa di grave se non interveniamo in tempo. Ecco perché dobbiamo oggi capire da dove viene questo problema e, con tanti anni di ricerca scientifica, si è appurato che:

Duecento anni di rivoluzione industriale non sono stati gratuiti.

Hanno lasciato dei sottoprodotti negativi, e in particolare, i residui della combustione del petrolio, del carbone e del gas, che hanno aumentato i gas a effetto serra.

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Non solo

Ci sono anche tanti altri fattori inquinanti dati dall’insieme delle risorse che noi preleviamo dal pianeta: il legno di una foresta, i pesci che peschiamo nell’oceano, i minerali che estraiamo e i rifiuti che reimmettiamo nell’ambiente.

Fino al 1970, in un mondo popolato da tre miliardi e mezzo di persone – meno della metà di quelli che odierni – si era ancora in equilibrio con gli interessi della natura: quello che la terra produceva in un anno soddisfaceva i bisogni di quell’anno. Ma una crescita smodata, che non ha tenuto conto degli allarmi lanciati in quegli anni dagli studiosi del problema, ha fatto sì che, per soddisfare i consumi odierni, si necessiti dell’equivalente di una terra e mezza.

La mezza terra è tutto ciò che non ci sarà più per le generazioni future ed è anche l’eredità scomoda dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento, dell’estinzione di specie che lasciamo al futuro.

Se non vogliamo arrivare alla bancarotta della natura, cioè in un mondo dove la popolazione, i consumi e gli inquinamenti aumentano ancor di più, dobbiamo cambiare oggi stesso il percorso e rientrare all’interno dei limiti fisici dell’unico pianeta che abbiamo.

Semplice, no?

Se continueremo a crescere verso il consumo di tre pianeti, che sono previsti come necessità fisiche della nostra avidità di specie già attorno al 2050, la natura farà bancarotta e i danni potrebbero essere irreversibili per le generazioni future.

Il cambiamento climatico è il problema forse più ampio, più vasto, di cui sentiamo più parlare. Sappiamo oggi che la temperatura è aumentata sul pianeta di circa un grado nell’ultimo secolo.

L‘aumento della temperatura è il sintomo della malattia climatica del nostro pianeta.

Qual è la causa?

Ormai l’abbiamo identificata: è la CO2, l’anidride carbonica, il biossido di carbonio di origine fossile, perché di CO2 ce n’è tanta nel pianeta.

Una parte è quella nel ciclo della fotosintesi, le piante la prendono dall’aria. Noi ci nutriamo, nel cibo non c’è altro che una parte di quel carbonio che usiamo per vivere e che restituiamo respirando: è un ciclo chiuso.

Una parte è quella nel ciclo della fotosintesi e le piante la prendono dall’aria. Mentre ci nutriamo, nel cibo non c’è altro che una parte di quel carbonio che usiamo per vivere e che restituiamo respirando: è un ciclo chiuso.

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Quello che entra, esce, e ritorna dov’era prima. Liberando però il carbone, il petrolio e il gas che stavano sottoterra da milioni di anni, noi ne abbiamo aggiunto una notevole quantità; attualmente sono 36 i miliardi di tonnellate all’anno di CO2, che vanno nell’atmosfera e ne cambiano quindi la composizione chimica, arrivando a 400 parti per milione. Questo dato non si rilevava da almeno 800.000 anni. Lo sappiamo attraverso i carotaggi che sono stati fatti al Polo Sud dove bollicine di aria fossile incluse dentro il ghiaccio antico, analizzate in laboratorio, ci dicono che il massimo assoluto di quantità di CO2 nell’aria in 800.000 anni si è toccato una volta sola attorno a 330.000 anni fa, con il valore di 300 parti per milione.

Quindi da 300 a 400 parti per milione è tutta roba nostra.

È un danno recente, un cambiamento dell’atmosfera terrestre che ha come effetto l’aumento della temperatura, perché la CO2 è il principale gas ad effetto serra e svolge un po’ la funzione di una sorta di coperta chimica che scalda il pianeta.

I sintomi

Li vediamo già, sono i segni principali della natura in bancarotta; con quell’aumento di un grado in un secolo, i ghiacciai sono in terribile riduzione e abbiamo perso il 50% della loro superficie. Per il nostro futuro, le simulazioni matematiche del clima che ormai vengono fatte da oltre 50 anni circa, sono diventate veramente affidabili. Eppur nell’incertezza di prevedere il futuro, ci dicono qualcosa di importante per scegliere la traiettoria più ragionevole.

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La catastrofe ecologica

Se continuiamo ad inquinare come facciamo oggi e seguiamo il grafico che ci porta ai tre pianeti consumati nell’impronta ecologica generale della terra, rischiamo di avere nel 2100 un aumento di circa cinque gradi nella temperatura terrestre, che è veramente una catastrofe ecologica.

La catastrofe per gli esseri viventi, non per la natura; la natura cambia, evolverà, si adatterà a cinque gradi in più, ma l’uomo si adatterà?

No, perché non ha la capacità di adattarsi, soprattutto per variazioni così rapide, per una società così complessa come la nostra.

Allora la scelta è quella di seguire la dieta ferrea sulla nostra economia, che ci permetterà di mantenere l’aumento della temperatura, entro il 2100, in due gradi.

Due gradi sono meglio di cinque

Non sarà una passeggiata, ma l’accordo firmato a Parigi nel dicembre del 2015 vuole proprio questo, ossia farci ridurre le emissioni per ridurre l’aumento della temperatura e ridurre anche l’aumento del livello dei mari.

I ghiacciai che fondono fanno aumentare i mari, il riscaldamento delle acque le dilata. Attualmente gli oceani della terra crescono già di circa tre millimetri all’anno, ma più scaldiamo e più cresceranno.

Risultato finale: se scegliamo la strada dei cinque gradi, la peggiore, avremo anche almeno un metro di oceano in più a fine secolo. Se conteniamo l’inquinamento e il riscaldamento in due gradi, avremo mezzo metro circa di mare in più.

L’economia verde deve diventare la priorità

Deve essere una via corale condivisa per tutta l’umanità, si deve fare solo quello.

L’economia verde l’unica cosa intelligente che possiamo fare.

  • Prima di tutto, il consumo dei suoli.
    • Più cementifichiamo, più creiamo problemi: aumentiamo il rischio di alluvioni, abbiamo meno acqua che si depura scendendo nelle falde, abbiamo meno intercettazione di CO2 da parte della fotosintesi e ci togliamo la cosa più importante: il suolo per produrre cibo.
  • Facciamo meno rifiuti e ricicliamoli tutti. Sono cose che si possono fare, non sono cose difficili; la raccolta differenziata, certo, ma anche agire alla fonte.
    • Il miglior rifiuto è quello non prodotto. È già la mano che si muove nel nostro gesto di acquistare che sceglie il rifiuto di domani. Altrimenti i rifiuti creano un danno grave, non solo al clima, perché dietro al rifiuto c’è un consumo energetico, ma anche alla vita, perché i rifiuti vanno soprattutto nel mare.
    • I rifiuti nel mare costituiscono una grave minaccia per tutta la fauna marina che si nutre – per esempio – della plastica e nel passaggio successivo, ce la porta in tavola, con tutto il danno sanitario che arriva dagli additivi tossici che vi sono contenuti.
  • Le energie rinnovabili. Sono già mature per essere usate su larga scala. Pannelli fotovoltaici, collettori solari, turbine eoliche, biomasse. Tutto dove si può, si ricorra ad energia fatta con le forze della natura.
  • Risparmio ed efficienza. Siamo una società che spreca moltissima energia. Quindi ne usiamo di meno, la usiamo meglio e quella che usiamo la andiamo a prendere dalle forze naturali, dal sole, dall’acqua, dal vento, dalle biomasse.

La bancarotta della naturaUrge cambiare

  • Cambiare le nostre abitudini. Viaggiare è bello, importante, ma sicuramente viaggiare in aereo non fa bene all’ambiente. Inquina assai, produce grandi emissioni di CO2 per unità di passeggero. Quando facciamo un volo intercontinentale, produciamo tanta CO2 come utilizzare un’auto per un anno. Viaggiare in aereo solo se è importante veramente.
  • Telelavoro e macchine elettriche, queste non risolveranno tutti i problemi del mondo, ma se caricate con i panelli fotovoltaici, possono ridurre fortemente le emissioni.
  • Agricoltura di prossimità. Perché far viaggiare le fragole oltreoceano a gennaio? Ogni fragola che mangiate a gennaio è in realtà un cucchiaino di petrolio. Recuperiamo la produzione locale.

Insomma, siamo un po’ alla vigilia di una guerra mondiale.

Winston Churchill, nel 1934, si lamentava del fatto che nessuno reagiva alla Germania nazista che si stava riarmando. Nel ’36 disse: “Ragazzi, ora è troppo tardi”, queste cose le disse al parlamento inglese, “Qui ormai siamo entrati nell’era delle conseguenze. La prevenzione bisognava farla prima”.

Le conseguenze le conosciamo tutti e cominciarono nel 1939 col più terribile conflitto dell’umanità. Ecco, in quel momento, Churchill diventò un leader. Non disse: “Ah, ve l’avevo detto”, ma bensì: “Non mollate, continuiamo, perché possiamo ancora farcela”. Siamo in questa situazione.

Avanti, ognuno ora faccia un piccolo gesto per salvare il futuro.

Il video, TEDxTorino, Luca Mercalli