Parliamo un po’ della guerra e delle sue barbarie, degli istinti ” primitivi animali” che si prendono il ruolo di protagonista e che portano distruzione, sofferenza, morte.
Prima di stimolare un ragionamento, proviamo a vedere qualcosa su una parte del nostro cervello, quello primitivo, cosiddetto rettiliano.
La teoria di un grande esponente delle neuroscienze, Paul Maclean poggia su di una tesi: il cervello è una struttura “triune brain”, ossia trinitaria.

Abbiamo cioè tre formazioni sovrapposte, che conosciamo come cervello:
- Rettiliano (per la forma somigliante a quella di un rettile)
- Limbico o mammaliano (emozionale)
- Neocervello (razionale, del ragionamento).
Il cervello rettiliano è la sede degli istinti primari: qui si difendono il territorio, l’attacco e la fuga, la conquista. Oltre a questi, le funzioni corporee autonome, quali la respirazione, l’equilibrio, la pressione sanguigna e la temperatura. Senza dimenticare l’accoppiamento, la sfera sessuale.
È la parte più primitiva dell’essere umano, arcaica, animale per l’appunto. Da qui il paragone con i rettili a sangue freddo. Tra le reazioni riconducibili a questa area, vi è la competizione in assenza di coscienza morale.
Per cui, riassumendo, assolve alle funzioni di: sopravvivenza, funzioni vitali, territorialità, riproduzione, ricerca del piacere evitando possibilmente il dolore.
È un’area di fondamentale importanza? Ovviamente sì, lo è.
Un articolo di alcuni anni fa, sul quale ragionare
Correva l’anno 2010, e il sito Lifegate, nell’articolo firmato dalla brava Rita Imwinkelried, si chiedeva come fosse possibile non considerare i danni ambientali prima di intraprendere le guerre.
Sottolineava come, al pari dei danni economici, una guerra fosse a tutti gli effetti una sciagura dal punto di vista ambientale, e per la salute, una catastrofe umana bella e buona. Aria inquinata, corsi d’acqua compromessi, devastazione degli ecosistemi, e chi più ne ha più ne metta.

Oggi decine di guerre insidiano il mondo: una, la più inquinante forse, proprio nel cuore della vecchia Europa.
E allora, come è possibile che la guerra non porti a riflettere sulle conseguenze allargate, ben oltre la semplice catastrofe economica?
Una punta di ingenuità pare accompagnare questo quesito
Potremmo rispondere sbrigativamente così: chi provoca una guerra, non è di certo dotato di sensibilità ambientale, perché se ragionasse in tal senso, non si sognerebbe mai di risolvere dissapori e malumori devastando tutto e tutti.
La guerra è ciò che tende ad eliminare fisicamente l’oggetto della diatriba, colui che sta all’opposto, ed il suo habitat; è l’esaltazione della forza, della prepotenza, colei che ignora ogni forma di dialogo civile.
Si è guidati dalla paura: di perdere il proprio territorio, i propri privilegi, o peggio ancora, di essere sopraffatti definitivamente. Questione di sopravvivenza.
È quindi l’apoteosi degli istinti animali più puri, quegli istinti che gli uomini, in preda ad un narcisismo di specie esasperato, si ostinano spesso a negare di avere.
Resta il fatto che, un conflitto bellico, è sempre il soffocamento dell’eloquio, la tomba della comunicazione umana.

La guerra scatena il cervello primitivo, annienta, toglie dignità, distrugge gli affetti.
La guerra non sa parlare, non vuole parlare, la guerra “non vuol sentire ragioni“.
Il cervello primitivo, dicevamo, è sopravvivenza, soddisfacimento di bisogni primari: respirare, nutrirsi, difendersi, attaccare, riprodursi. Siamo “rettili” a tutti gli effetti, un po’ più evoluti, anche se non si direbbe quando ci lasciamo prendere per mano dalla guerra.
Come è possibile pensare all’ambiente in una condizione simile?
Siamo nel campo delle contraddizioni, del controsenso, delle situazioni impossibili. In una condizione nella quale prende il sopravvento la paura e si ritorna ad essere entità che si affidano al cervello primitivo, non è possibile auspicare il ragionamento.
Quale buon senso ecologico può manifestarsi nella costante ricerca della morte altrui?
Quale attenzione alla casa comune, all’habitat, l’ambiente, può esserci se l’obiettivo, guidato dall’odio, è solo e soltanto la distruzione dell’altro?
Il mondo è basato sull’avere, sul possesso, sulla ricchezza materiale
Noi esseri umani o buona parte di noi, non ci siamo preoccupati di considerare lo spirito, quel qualcosa che va ben oltre le miserie materiali del possesso. Nel nome dell’avere ad ogni costo, abbiamo istruito intere generazioni ad essere tasselli funzionali e ingranaggi di un sistema proiettato al raggiungimento di un benessere basato quasi esclusivamente sull’accumulo di denaro e beni materiali.
La parte più evoluta del cervello umano, quella che ci distingue dagli animali, è la sfera razionale. Non sempre però questa si sposa con i vertici delle nostre organizzazioni sociali.
Una società istruita nell’ottica del raziocinio, del dialogo, dei princìpi, della condivisione e quindi del rispetto, potrebbe aspirare ad essere guidata da persone ragionevoli.
Se la società – per contro – viene istruita sull’avere, sulla produttività, sul possesso e la ricchezza materiale ad ogni costo come unica via per l’ottenimento della dignità, relegando ai margini ogni altra forma di crescita sociale dettata dalla ragione – una su tutte, la solidarietà – ecco che, questa società, sarà sempre terreno fertile per ogni forma di prepotenza e prevaricazione in preda alla paura per la perdita dei privilegi acquisiti.
In un contesto sociale simile, ogni minaccia alla propria area di comfort genera paura, il diverso diventa un problema, e la paura può provocare reazioni animali belle e buone.
Nessuno ha ragione in una guerra, proprio perché la ragione non entra in gioco. È una battaglia tra animali, tra istinti primitivi, una sconfitta dell’evoluzione umana.
È un problema molto serio di educazione sociale
Quando deleghiamo la conduzione di una società e ci lasciamo guidare, identificandoci in qualcuno che rappresenta metaforicamente questa paura, mimetizzata sotto forma di audacia, fermezza e autoritarismo, ci esponiamo a pericoli enormi.
Tra questi pericoli, sì, ci sono inevitabilmente anche quelli ambientali, come sottolineato bene dall’autrice dell’articolo citato ad inizio di questo post.

Il problema però è decisamente a monte, laddove dobbiamo capire l’importanza di adottare una nuova modalità educativa. Un nuovo concetto di ricchezza svincolata dal possesso, una nuova modalità comunicativa, basata sull’ascolto empatico, ove si impara bene a distinguere la paura sana, quella temporanea e necessaria alla sopravvivenza, da quella dannosa e subdola che si manifesta nelle azioni peggiori di cui un essere umano è capace.
Le guerre non sono dovute alla esclusiva follia di qualcuno, ma sono l’elaborazione e la risultante complessa di un sistema sociale che deve prendere atto delle proprie lacune e rivedere profondamente i paradigmi sul quale basare una vera convivenza civile.
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