Uomo, animale sociale, unicità. Può sembrare paradossale, ma l’uomo “gradisce” che gli venga riconosciuta un’identità sociale così come l’unicità, che lo aiuti in certi momenti, differenziandolo dagli altri.
A volte non ci piace essere confusi con le altre persone, mentre in certi casi siamo contenti di essere parte di associazioni, di gruppi aventi caratteristiche simili al nostro modo di essere, che ci piacciono particolarmente e ci rassicurano.
Il dualismo tra isolamento e compagnia
Quando abbiamo paura di ciò che non conosciamo, o soffriamo la solitudine, siamo naturalmente spinti a ricercare il conforto altrui, una sorta di vicinanza, di attaccamento. In questa circostanza, il bisogno è più forte delle differenze e troviamo conveniente attirare l’interesse altrui.
Quando invece vogliamo elevarci o distinguerci dagli altri, abbiamo l’esigenza di separarci, di rivendicare le nostre idee, certe nostre scelte, le nostre reazioni. In queste circostanze non siamo più elementi di un gruppo, ma esseri che hanno il bisogno di distinguersi e giustificare le proprie scelte di vita.
Quella strana convinzione di essere unici
Ci sono persone che si ritengono estremamente fortunate e credono di essere uniche e piene di risorse. Per contro, ce ne sono altre che sentono di avere avuto un’infanzia difficile per esempio, particolarmente sofferta, e che nessuno tranne loro possa comprendere la situazione vissuta in quanto – anche in questo caso – assolutamente unica.

Questa alternanza tra socialità e individualità avviene in qualche misura anche nella psicoterapia. Ci si affida alla memoria del paziente per il ricordo di certi episodi, e si cercano legami e associazioni che possano parlare del suo disagio personale. Non si analizzano le caratteristiche del paziente in quanto tale, ma ci si poggia su classificazioni già esistenti, una condizione rassicurante per il terapeuta che è confortato dall’intraprendere strade già conosciute, le quali descrivono ed includono gruppi di persone più o meno omogenei o con determinate caratteristiche.
Il paziente a sua volta si rassicura…
Sente di non essere il solo ad avere un problema, una determinata patologia, ed essere quindi classificato in un “insieme” alla pari di tanti altri lo rassicura un po’. Ma poi, per contro, vuole che il suo problema diventi l’unico oggetto dell’attenzione.

Si regredisce allo stato infantile e si vuole essere accuditi. Quando emerge la componente più razionale del paziente, ecco che l’essere categorizzato all’interno di una categoria non basta più, e comincia a pretendere di essere considerato come portatore di disturbi che appartengono solo a lui.
L’approccio alla persona non è sempre lo stesso
Sappiamo come in ambito prettamente medico o di psicologia ad indirizzo biomedico il terapeuta abbia il ruolo di colui che ha il sapere, che conosce, e quindi in un certo senso il paziente deve sottostare alle diagnosi e alle cure che gli vengono suggerite.
Nella psicobiologia del benessere vi è invece un interscambio nel quale si considerano le esigenze del cliente, le sue unicità, dove soprattutto non si è in presenza di un rapporto gerarchico. Il cliente è considerato per l’appunto sia nella sua unicità, sia per il fatto di appartenere ad una categoria più vasta, che però non è una classificazione in base ad una patologia.
Nella psicobiologia del benessere non si considera la storia di un individuo fossilizzandosi su particolari specifici, al fine di ricercare sintomatologie e segni che lo possano incasellare in schemi patologici paragonabili a quelli di altri individui. Non si ricerca, in poche parole, la sua malattia, ma si individuano le risorse e le qualità che possano migliorare il proseguo della vita.
Guardare gli altri per scoprire realmente le proprie qualità
Le modalità umane in tema di organizzazione del pensiero, dei comportamenti, così come alcuni modelli cognitivi, sono comuni a tutti gli appartenenti alla specie. Partendo da questa base sarà poi possibile, per il consulente in psicobiologia del benessere, individuare le caratteristiche, le effettive qualità, che un determinato cliente possiede e sulle quali si può lavorare per migliorare l’andamento della vita.

Tutti o molti sono convinti di avere capacità straordinarie o sopra la media che non sono riusciti a sviluppare per qualche motivo. E probabilmente può esserci una parte di verità in questo, ma per conoscere realmente queste qualità, è necessario anche sapere quali caratteristiche hanno in comune gli esseri umani.
Potremmo infatti scoprire che non siamo poi così dotati di quelle abilità che credevamo appartenerci, oppure di non essere poi così sfortunati considerate le dinamiche che un po’ tutti sono costretti prima o poi ad affrontare.
La consapevolezza è l’anticamera del cambiamento
Comprendere di non essere i migliori o i peggiori del mondo, sapere di non essere i più sfortunati o bistrattati dall’universo, è il primo punto per poter conoscere realmente sé stessi.
Diciamocelo chiaramente:
Non abbiamo conosciuto la donna o l’uomo migliore del mondo, nostro figlio non è probabilmente il più bravo calciatore incompreso della nazione e il libro scritto in un particolare momento e che abbiamo lasciato nel cassetto, non è un capolavoro o un best seller mancato.
A volte queste cose accadono, certo, ma è rarissimo.

Le nostre manifestazioni esterne ci rendono – osservandoci – unici e irripetibili, ma i meccanismi di base dell’esistenza ci rendono tutti più simili di quanto ci piace sostenere. Si pensi ad un albero con rami, foglie e frutti, che però derivano dallo stesso seme. Nella psicobiologia del benessere, il seme è molto importante.
Processi di base e comportamenti secondari
È la nostra coscienza individuale, che ci fa sentire originali, diversi dagli altri, perché siamo consapevoli solo di quello che emerge a livello cosciente. I meccanismi inconsci non li prendiamo in considerazione, fatichiamo ad accettarli.
- Tutti i comportamenti umani possiamo ricondurli a processi di base, già presenti o attivi alle origini della nostra esistenza. Appartengono all’eredità filogenetica, quella che ci consente di vivere grazie a meccanismi fisiologici di base involontari e che ci porta inizialmente a reagire allo stesso modo a certi stimoli, (la paura, il dolore, il piacere etc…)
- Su questi si sono andati a sovrapporre degli schemi che a loro volta hanno generato le manifestazioni che conosciamo. Ci diversificano gli uni dagli altri, in quanto specializzazioni dei primi. Sono comportamenti di ordine secondario complessi, che però nascono e si sviluppano partendo sempre da elementi di base universali.
Esteticamente siamo tutti diversi. Ma dietro l’apparenza?
Ognuno di noi ha un volto e determinate caratteristiche estetiche che lo rendono diverso dagli altri. Ma se superiamo la superficialità dell’involucro e della sua morfologia, la percentuale che ci fa credere di essere assolutamente unici cala in maniera sensibile.
Molto probabilmente avremo preferenze artistiche e alimentari simili a molti altri. Probabilmente avremo preferenze per i colori piuttosto che per gli abiti o un tipo di musica, come tante altre persone del resto (su questi ci gioca il marketing, no?).

La percentuale di persone impaurite dai serpenti o dal buio ci renderà molto più simili a tanti altri, e così via. Quindi, ecco che gradualmente siamo giunti ad una sorta di manifestazione universale nei nostri geni, e rispetto alla quale l’evoluzione ha dato il via ad una serie di reazioni che iniziano con quella emozionale.
La Psicobiologia del benessere si concentra sul presente
Prima abbiamo fatto l’esempio dell’albero, con i suoi rami, le foglie e fiori vari, ma per far capire quanto sia importante l’origine, abbiamo evidenziato come il seme abbia un ruolo fondamentale che non può essere marginale.
Nelle forme di psicoterapia è normale concentrarsi sul ramo, cioè sul cliente, regredendo al massimo al ramo precedente, i genitori e i nonni.
Anche nella psicobiologia del benessere è importante la storia di vita individuale della persona. Si cercano le esperienze che hanno portato alla luce il problema psichico, che altro non è che la parte terminale di un processo le cui origini però sono universali, comuni a tutti.

La consulenza in psicobiologia del benessere si concentra sulla storia individuale della persona per recuperare le informazioni sulle qualità dell’individuo. Queste risorse devono emergere o riemergere per essere comprese, coltivate, e per far sì che portino il cliente verso una migliore qualità della vita.
Pertanto, si guarda al passato per avere un quadro generale, ma ci si concentra, o se vogliamo, si sposta il focus sul presente, perché nel comportamento, negli atteggiamenti e nello stile di vita attuale dell’individuo, troviamo ciò che il passato ha tramandato.
L’animale sociale che rivendica la propria unicità e l’inconscio collettivo
Il malessere psicologico, il disagio, i nostri comportamenti cosiddetti disfunzionali sono il
risultato ultimo di una catena di eventi psichici, lunga e complessa.
Questi comportamenti sono riconducibili a pochi processi universali, di base, che si sono modificati ed evoluti partendo dal bisogno primario di sopravvivenza. Abbiamo un bisogno biologico di salvaguardare la nostra vita in tutte le sue manifestazioni e i nostri comportamenti ne sono una conseguenza.
Quindi, all’inconscio individuale si affianca un inconscio collettivo, idea enunciata a suo tempo da Jung e inglobata dalla Psicobiologia del benessere
Una parte della vita ci appartiene e ce ne prendiamo cura, ma un’altra parte no, vedi i processi di base alla base delle emozioni e dei pensieri, comuni a tutti. I successi, le sconfitte, l’individualità, le conquiste e gli abbandoni, vanno dissolvendosi in quelle degli altri, ed è un colpo molto duro inflitto al nostro ego.
La nostra presunta unicità, nell’universo e nel tempo, è assolutamente marginale. È bene partire da qui prima di concentrarsi sulle specifiche di ognuno.
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